Riflessioni quasi serie sul ritratto e sull’autofocus

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Il ritratto è una cosa seria.

Cartier-Bresson, mica uno qualunque, diceva che per lui il ritratto è la cosa più difficile perché devi mettere la tua fotocamera tra la pelle la maglietta del tuo soggetto. Devi invadere il suo campo, devi invadere il suo spazio privato e questo provoca un imbarazzo enorme, sia nel soggetto che nel fotografo.

Provoca imbarazzo non soltanto se il soggetto non lo conosci, come capita spessissimo a noi fotografi, ma provoca imbarazzo anche tra due persone che si conoscono, proprio perché conoscendosi hanno già dei paletti, delle cose che non si mostrano l’un l’altro, delle cose in cui magari sono molto aperti e delle cose in cui invece sono chiusi l’uno nei confronti dell’altro. Queste regole già consolidate sono molto più difficili da scardinare rispetto alla freddezza superficiale che è normale avere tra due sconosciuti, ma che una volta rotto il ghiaccio tra due sconosciuti capita qualcosa di diverso. Tra due sconosciuti, una volta rotto il ghiaccio, capita una fase di scoperta. Ci si scopre l’un l’altro, ci si conosce l’un l’altro e se tu fotografi in questa fase il tuo soggetto può arrivare a mostrarti dei lati di sé che magari non ti mostrerebbe se ti conoscesse da parecchio tempo.

Mi è venuto di pensare al ritratto perché sto facendo un corso di fotografia, per chi non lo sapesse, e ultimamente abbiamo fatto con i ragazzi una sessione di ritratto proprio con una modella sconosciuta. E quindi mi sono andato a guardare alcune fotografie, alcuni ritratti di Cartier-Bresson, perché lui si diceva che per lui era una cosa più difficile ma ritratti ne faceva, e ne faceva di spettacolari. Penso a quello più famoso probabilmente a Samuel Beckett del’ 64, penso a quello che ha fatto a Francis Bacon nell 71. Due ritratti famosissimi.

Entrambi questi ritratti hanno qualcosa in comune. A parte il taglio che è orizzontale, non è verticale, e questa è una particolarità che si solito noi non ritroviamo nel ritratto. Ma abbiamo anche la particolarità di, soprattutto quello che Francis Bacon, non essere perfettamente nitido. E qui mi viene in mente una citazione di Cartier-Bresson, che dice che la nitidezza è un concetto borghese. La nitidezza è un concetto borghese. E fa i ritratti a Francis Bacon che non sono perfettamente nitidi come noi pretenderemmo al giorno d’oggi. Tutte queste paranoie Cartier-Bresson non se le faceva. Per lui è la cosa più importante era quella di entrare in contatto con il soggetto in maniera talmente intima da avere la sensazione di mettere la sua fotocamera addirittura sotto la sua maglietta, camicia, indumento, quindi essere molto intimo con questa persona. Per lui il problema era quello, non era se il fuoco è o meno perfettamente centrato sulla pupilla del soggetto.

Questa è una cosa di cui noi ormai ci preoccupiamo meno. Ci preoccupiamo più se il fuoco è sulla pupilla, e quindi magari andiamo a comprarci le nuove mirrorless che hanno il tracciamento in tempo reale della pupilla e non puoi sbagliare un colpo, e ci preoccupiamo meno di entrare in contatto con il nostro soggetto. Ci preoccupiamo meno di mettere la nostra fotocamera sotto la sua camicia.

Qualcuno sostiene, e io sono tra questi, che le fotografie un po’ sfocate, un po’ imperfette, un po’ poco nitide, hanno un fascino diverso da quelle troppo nitide. Ci sembra più reale, più autentica, una fotografia non perfettamente nitida, come il ritratto di Cartier-Bresson a Francis Bacon, che una fotografia perfettamente nitida, perfettamente illuminata, con una composizione perfetta, ma in cui il fotografo e il soggetto non sono entrati in questo rapporto d’intimità.

Eppure è quello che vediamo più spesso! Troviamo centinaia di ritratti tecnicamente impeccabili, ma dove c’è una distanza enorme tra il soggetto il fotografo. Dove magari si mettono in mostra le caratteristiche fisiche del soggetto, che spesso sono ragazze in abiti succinti. Sì, ci rendiamo conto che quella è una bella ragazza, che ha delle belle forme, che la luce è perfetta che la pupilla e perfettamente nel punto di fuoco, ma non capiamo chi quella persona sia. Non capiamo che cosa sta provando in quel momento, non capiamo chi è il fotografo che l’ha ritratta, non capiamo che cosa si è creato tra quella persona e il fotografo.

Guardiamo invece un ritratto di Cartier-Bresson, ma anche di Gastel per esempio, e tutte queste cose invece vengono fuori. Il ritratto non è una cosa che noi facciamo a qualcuno ma è una cosa che si fa insieme. Sempre Cartier-Bresson e diceva che la fotografia ti si mostra, non sei tu a prenderla, a catturarla, ma è qualcosa che ti si mostra e tu devi avere la prontezza di catturare, di saper cogliere. Soprattutto quando hai a che fare con una persona. Non lo decide neanche consciamente, è qualcosa che si fa inconsciamente, ma capita che a un certo punto quella persona ti riveli qualcosa di sé, e tu devi essere pronto in quel momento a catturarlo.

E quindi tutta questa tecnica che noi abbiamo sotto le nostre dita, tutta questa tecnologia che è una protesi della tecnica, che ci obbliga, non ci consente più ma ci obbliga a fare le cose perfette, a fare il fuoco perfetto, la luce perfetta e la composizione perfetta, può diventare anche qualcosa che ci allontana dal vero scopo del ritratto.

Oggi abbiamo una percentuale maggiore di fotografie tecnicamente perfette, ma abbiamo una percentuale immensamente minore di fotografie buone. Ora io non voglio fare il vecchiaccio che dice “ah, si stava meglio quando si stava peggio! È meglio la fotografia analogica perché non c’è l’autofocus!” Io sono convinto che non si può tornare, non si tornerà indietro dal punto di vista della tecnologia fotografica. Questa borghesia della fotografia sarà sempre più affidata alla macchina e sempre meno all’uomo, ma sono anche convinto che siccome sono sempre più rare, le fotografie buone, quelle in cui effettivamente c’è un contenuto che vale la pena di mostrare, avranno sempre più valore.

Nella quantità immensa di fotografie perfette ma inutili, quelle utili ma perfette o imperfette conta poco, avranno un valore sempre maggiore. Nonostante la quantità immensamente maggiore di fotografia nel mondo, le fotografie buone varranno sempre di più. Il problema semmai sta tutto nel riconoscerle.

E vi lascio con un’altra citazione sempre del nostro caro Cartier-Bresson, che non c’entra un c*** con tutto quello che abbiamo detto ma è un indizio per una delle prossime puntate, ed è questa:

“Qualsiasi cosa abbiamo fatto, Kertész l’ha fatta prima.”

Ciao!

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